L’estate è ormai trascorsa e, nelle piogge che l’hanno funestata, sono proliferati gli sgomberi di esperienze sociali autogestite, la maggior parte in città governate da giunte più o meno “arancioni”. Volturno Occupato, ZAM, Lambretta, Cinema America, Hobo, Bios Lab: da Roma a Bologna, da Genova a Milano, la lista è lunga. Anche laddove le stesse giunte hanno sbandierato la volontà di costruire tavoli di confronto e messo in piedi “trattative stralunate” (per citare l’esperienza del Teatro Rossi Aperto, sempre in bilico) l’esito è stato lo stesso: come dimostrano anche le vicende del Teatro Valle, non c’è nessuna volontà politica di misurarsi con la ricchezza sociale prodotta dalle esperienze di autorganizzazione e autogestione. Come hanno scritto le attiviste e gli attivisti del Progetto Rebeldia di Pisa, l’imposizione forzata di un unico modello sociale ed economico, proprio nel momento in cui la sua “crisi” viene più duramente pagata da milioni di persone che certamente non l’hanno scelto, passa anche attraverso gli sgomberi.
Le esperienze sociali di autogestione spesso nascono da un’occupazione, una pratica di riappropriazione che non ci stancheremo mai di rivendicare e sostenere soprattutto nel deserto del reale prodotto dalle politiche di austerità. Le occupazioni, infatti, sono spesso l’unico mezzo che abbiamo a disposizione per tentare di rispondere in maniera diretta a bisogni concreti a cui le istituzioni rappresentative non vogliono e/o non possono fare fronte, come nel caso delle occupazioni abitative, e aprire spazi di sperimentazione di nuove forme di legami sociali. In quest’ottica, è evidente che la distinzione tra occupazioni “abusive” e occupazioni “senza titolo” ha una funzione completamente strumentale, utile solo a chi crede che dividere i movimenti sociali in “buoni” e “cattivi” possa servire ad addomesticarli.
In questo scenario così poco confortante, Atlantide è ancora lì, dove vive e cresce da diciassette anni, lì dove ha scelto di continuare a vivere e crescere. L’Operazione bando è fallita (con la rinuncia di tutte le associazioni) e un vertice tra Comune, Prefettura e Questura ha stabilito che non ci sono i termini per procedere al nostro sgombero. Potremmo gridare alla “vittoria”, quantomeno parziale, ma le retoriche legalitarie che avvelenano la città, e non solo, purtroppo non ce lo consentono.
All’inizio di settembre le pagine dei quotidiani locali sono state riempite con il nostro nome, lanciato in mezzo a uno scontro istituzional-elettoralistico che poco ci appassionerebbe, se non fosse, appunto, che nostro malgrado ci riguarda. Qualcuno, spolverando i fantasmi del proprio inconscio rimasto fermo al ’77, ha roboantemente pensato di ergere le nostre vicissitudini a simbolo della città. Ma noi transfemministequeerepunk non desideriamo essere il simbolo di alcunchè, preferiamo piuttosto essere libere di (auto)gestire la materialità delle nostre vite, fuori non solo dal sistema “assistenzialista”, al quale comunque non dobbiamo assolutamente nulla, ma anche dalle trappole della sussidiarietà, verticale, orizzontale o circolare che sia.
D’altro canto, il fatto che il bando di due anni fa si sia concluso con un nulla di fatto per noi dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che quella dei bandi non può in alcun modo essere una strada percorribile nella negoziazione dei rapporti tra esperienze sociali autogestite e amministrazioni, soprattutto quando si tratta di spazi già vivi, aperti e con una loro riconoscibilità sociale, culturale e politica. In questo campo servono piuttosto strade innovative, anche dal punto di vista giuridico, e per percorrerle serve una certa dose di coraggio politico, da parte di tutte le parti coinvolte: si tratta di una partita tutta aperta, che siamo intenzionate a giocare fino in fondo a fianco del Comitato per la promozione e la tutela delle esperienze sociali autogestite.
E’ proprio nell’ambito di questo percorso, del resto, che a luglio abbiamo firmato un “preaccordo” con il Settore Cultura del Comune, un atto che rappresenta una primissima, parziale, formalizzazione del confronto avviato durante l’ampia campagna di mobilitazione per la difesa di Atlantide. Un confronto che finalmente possiamo definire politico, i cui esiti, però, non sono affatto scontati. L’unica cosa certa, messa nero su bianco, è che ci si siede a un tavolo non per discutere del rispetto di vecchie regole, ma per tentare di riscrivere i “patti”. Il preaccordo infatti, esplicitando le basi di questo confronto, riconosce la rilevanza delle nostre attività per la città nel rispetto delle nostre forme organizzative, ovvero dei principi dell’autogestione, per noi imprescindibili. Abbiamo quindi dismesso per sempre l’avatar delle associazioni – il camuffamento richiesto fino ad ora dalle amministrazioni per entrare in dialogo con le esperienze di autogestione. Il preaccordo impegna il Comune anche a garantire ad Atlantide una sede “idonea” allo svolgimento delle proprie attività.
Quale sia la sede più idonea per noi, ci sembra sia chiarissimo a tutte e tutti: la stessa che riaprirà le sue porte domani, venerdì 19 settembre, dalle 19 in poi.
Siamo molto felici di annunciarlo, perchè non vediamo l’ora di rivedere e riabbracciare tutte le favolosità che ci hanno accompagnate, sostenute e motivate in queste intense stagioni di passione, e con le quali, ne siamo certe, ricominceremo subito a co-spirare, verso il sol del venir!