L’antifascismo non è una convenzione. Per uno sciopero dell’autogestione.

Vogliamo essere subito molto chiare: se l’amministrazione comunale crede che la minaccia di revocare le convenzioni stipulate con alcuni spazi sociali autogestiti cittadini possa funzionare come controllo repressivo del dissenso sociale e politico in questa città, o sia utile a segnare i “buoni” e i “cattivi” sulla lavagna dell’ipocrisia benpensante, si sbaglia di grosso.
L’ordine del giorno che è stato votato durante il Consiglio comunale di lunedì, frutto dell’ennesima “larga intesa” tra PD e centrodestra, è quanto di più antidemocratico possa essere partorito da un’istituzione che dovrebbe invece rappresentare una città che non solo è Medaglia d’Oro per la Resistenza, ma che è anche stata fatta ripetutamente oggetto della violenza stragista di matrice fascista.
In quella seduta del consiglio, surrealmente trasformata in aula di tribunale, poche parole e nessun atto di “fermezza” è stato riservato all’oscena sfilata razzista del partito neonazista di Forza Nuova, avvenuta nelle stesse strade-vetrina del centro cittadino in cui le forze dell’ordine erano invece impegnate a spaccare teste e braccia e a fare arresti tra gli antifascisti e le antifasciste. Una vergogna che quell'”atto di indirizzo” porta all’estremo: perché mentre si continua di fatto a garantire agibilità politica agli amici degli stragisti, si è invece scelto di criminalizzare una rilevante parte attiva di questa città. Che, paradossalmente, è proprio la stessa parte di città alla quale lo stesso Comune “delega” quotidianamente la gestione di emergenze, interventi sociali e servizi a cui non vuole e/o non è più in grado di fare fronte.E’ da lungo tempo ormai che abbiamo compreso quanto le convenzioni, che presuppongono l’iscrizione all’elenco delle Libere Forme Associative, non siano davvero utili alle esperienze sociali autogestite, ma lo siano piuttosto per l’ambiguo sistema di sfruttamento della cooperazione sociale che gli ideologi del PD preferiscono chiamare “sussidiarietà”.
Cosa accadrebbe infatti in questa città se tutti gli attivisti e le attiviste impegnate gratuitamente in percorsi sociali smettessero di farlo? Se “scioperassero” le mense autogestite, i mercati contadini, le scuole di italiano con i migranti, gli sportelli legali e quelli di ascolto, le palestre popolari, le ciclofficine, i percorsi di autoformazione, le banche del tempo, i laboratori di artigianato, le occupazioni abitative e tutta la produzione culturale dal basso? Cosa avrebbe da offrire di concreto a Bologna questa amministrazione di fronte a una crisi lacerante e a politiche di austerità che aumentano progressivamente la povertà e con essa, la sofferenza e la rabbia sociale?
Se dunque non dipendiamo in alcun modo da convenzioni o riconoscimenti istituzionali per continuare nell’impegno sociale e culturale in cui crediamo profondamente con tutte le nostre fibre, d’altro lato non possiamo nemmeno tollerare di essere costrette a questo irrespirabile clima di arbitraria stigmatizzazione.
E’ da Genova 2001 che abbiamo capito, sulla nostra pelle, quanto il mefitico dibattito violenza/nonviolenza sia funzionale solo all’espunzione del conflitto dallo spazio pubblico. E lo stesso si può dire dei pelosi appelli per una manifestazione istituzionale contro la “violenza”.
Come alcune di noi hanno già scritto in passato, “illegale non coincide con violento e nonviolenza non è affatto sinonimo di legalità, ordine, decoro, compostezza”. Alla legalità dello sfruttamento, all’ordine imposto dal “più forte”, al decoro eteronormativo, alla compostezza dei corpi docili continueremo ad opporre la riapproriazione diretta e l’autorganizzazione, l’indisciplinatezza delle differenze, i nostri indecorosi percorsi di liberazione e la nostra indisponibilità a riprodurre questo tipo di società.
Noi crediamo, infatti, che praticare il conflitto sia una necessaria risposta vitale alle mortifere politiche neoliberiste, una reazione  insopprimibile di fronte all’arricchimento dei pochi a scapito dei molti, a un ritorno in grande stile della dittatura dei “normali”, al restringimento degli spazi di libertà e di autonomia, alla moltiplicazione e al peggioramento delle disuguaglianze sociali, alla messa al lavoro al servizio del capitale delle nostre intere vite.
Ed è proprio perchè crediamo che il conflitto abbia il suo senso più alto nella trasformazione sociale, che crediamo anche che abbia la necessità di dotarsi di pratiche politiche davvero efficaci, ovvero che siano inclusive, attraversabili da tutti e tutte, che sappiano innescare circuiti di soggettivazione politica, che riescano sempre quantomeno ad alludere alla costruzione di legami sociali diversi, che sappiano allargare il consenso, che non lo restringano a “stili di militanza” insostenibili per le nostre vite massacrate dalla precarietà e per l’ecologia dei nostri corpi, che non si riducano ad essere appannaggio di comunità che per quanto siano egualitarie, rischiano di rimanere chiuse nell’autoriproduzione. Su questo, è necessario ora più che mai che i movimenti, fuor di retorica, sappiano darsi momenti di autoriflessione, discussione e confronto collettivo sinceri e aperti, perchè la posta in gioco è appunto la credibilità del modello alternativo di società che tutti e tutte desideriamo costruire.

AtlantideOccupata&Autogestita

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2 risposte a L’antifascismo non è una convenzione. Per uno sciopero dell’autogestione.

  1. armando scrive:

    Sono pronto per uno sciopero dell’autogestione. E’ ora di fare chiarezza politica. Noi dobbiamo gestire la nostra vita. Uno slogan molto azzeccato: Più bastoni e meno tastiere. Basta il buonismo del PD genuflesso alla destra. Il fascismo deve sparire dalla faccia della terra e dalle enciclopedie e vocabolari.

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