ATLANTIDE VA AL PRIDE, MA IL PRIDE DOVE VA?

Un silenzio politico assordante circonda il Pride di Bologna.

Nella città simbolo del movimento lgbt, la città più libera del mondo, quel movimento è oggi ai suoi minimi storici: la storica realtà bolognese, la prima in Italia a ottenere una sede istituzionalmente legittimata e a inaugurare il passaggio dalle politiche di movimento alla richiesta di diritti civili sul piano formale indirizzandola nel corso degli anni a governi e interlocutori politici di ogni colore, avulsa da qualsiasi contestualizzazione più ampia, è oggi attraversata da una lotta intestina. Nello stesso momento, la parte trans femminista queer del movimento viene violentemente criminalizzata: per le istituzioni amministrative e giudiziarie Atlantide è occupata abusivamente da ignoti senza volto, privi di ogni legittimità, mentre per i media di regime siamo “balordi” e “prepotenti”.

In questo buio siderale, che chiude senza appello l’epoca delle grandi alleanze tra movimento lgbt, PCI e i-suoi-derivati, verso le magnifiche sorti e progressive dell’integrazione gay, Atlantide va al Pride e chiede a tutte/i: ma il Pride dove va? Si può continuare a garantire una passerella di pinkwashing a coloro che ogni giorno sgomberano, tagliano il welfare e criminalizzano le lotte sociali?

Al tentativo di cancellare le nostre forme di organizzazione, noi risponderemo rendendo ancora più visibile ciò che viviamo, ciò che siamo: femministe guerriere, strane froce passivo-aggressive, irriducibili dell’autoproduzione punk che riescono, nonostante le passioni tristi che muovono le istituzioni contro di noi, a essere indisciplinate e felici.
I collettivi e le singol* di Atlantide invitano tutti e tutte a riprendersi la città e la politica, rivendicando la propria autonomia, portando al Pride cittadino del 28 giugno i propri inarrestabili volti e corpi fuori norma.

Al Pride non vogliamo portare lo spettro di Stonewall, ma la sua materialità: quella delle vite queer sempre più precarizzate e impoverite dalle politiche di austerity, del bisogno di spazi di autodeterminazione e autogestione. Come a Stonewall, del resto, non è solo una questione di spazi fisici o di come sono regolati e ghettizzati: dalla mafia e dalla polizia in quel lontano ’69, dalla mercificazione e dalle istanze securitarie oggi. È piuttosto una questione di spazi di agibilità politica, di tempi di vita e libertà.

Ci sentiamo poco rappresentate dagli appelli all’uguaglianza formale delle coppie gay&lesbiche nel matrimonio, che nemmeno il pifferaio magico di turno pare disposto a concedere. Non ci interessa contrattare le nostre vite intime: le nostre relazioni affettive e sessuali sono multiple, indecorose e libere, irriducibili alle trappole dell’eteronormatività e della cittadinanza disegnata sulla famiglia tradizionale. I nostri legami desiderano produrre lotte, solidarietà, autorganizzazione, welfare dal basso, trasformazione sociale. Perchè la liberazione queer è lotta di classe. Non vogliamo controllo poliziesco, non chiediamo protezione, non vogliamo quote froce sul lavoro: vogliamo reddito di autodeterminazione per sottrarci al ricatto della precarietà e della famiglia e un welfare rimodulato sulle singolarità, che non ci riconduca forzatamente ai ruoli normativi di uomo e donna.

Oggi più che mai è necessario risignificare e risessualizzare lo spazio pubblico, rompendo con la vittimizzazione e la richiesta di tutele: le donne, le lesbiche, le/i trans, le froce sanno governarsi da sé, r-esistendo insieme, ogni giorno, al dominio patriarcale, alla violenza maschile, come a quella neutra e invisibile del capitale finanziario, sempre disponibile a lusingarci con la trappola del diversity management e a compensare la mancata cittadinanza sociale con l’accesso al consumo.

Ma come per il movimento lgbt, Bologna è stata una culla e una gabbia anche per il movimento punk. Dichiarato morto già nei primi anni ’80, sfruttato dall’industria musicale e ridotto a moda radicale ma borghesissima, a Bologna è potuto crescere dal punto di vista politico e sociale saldandosi con l’onda lunga del ’77, andando ad alimentare la forma di vita dei centri sociali. Quelle stesse esperienze che la nomenclatura del Partito Emiliano si è affrettata ad attaccare sgomberandole, salvo poi celebrarle nelle decadi successive come fucine di un’innovazione artistica opportunamente riassorbita nelle forme del consumo culturale.

L’insostituibile valore della r-esistenza creativa delle atlantidee sta proprio nell’intreccio tra le controculture queer, femministe e punk. Una saldatura tra continenti solo apparentemente lontani, che è potuta avvenire grazie a un piano etico comune e condiviso, continuamente rinegoziato attraverso le pratiche di autogestione, unite dalla consapevolezza di essere cresciute nello stesso humus libertario.

Anche per questo, Atlantide andrà al Pride tutta intera, portando con sè la lotta per la difesa di tutti gli spazi sociali sottratti alla mercificazione, alla rendita, alla speculazione. Spazi dove donne e lesbiche, dopo aver smontato quella del padrone, possano trovare una nuova casa, per costruire percorsi di piena e totale autonomia. Dove tutte le soggettività eccentriche possano sperimentare nuove forme della politica. Dove le diverse sfaccettature dell’autoproduzione musicale e artistica possano esprimersi liberamente. Spazi non concessi, ma conquistati collettivamente, che saremo sempre pronte a difendere, a prenderci e a riprenderci. Perchè sono spazi comuni, non del Comune.

Atlantide va al Pride per annunciare alla città che il patto omosociale è morto! Non ci saranno arcobaleni a imbellettare gli zombie che governano l’Europa, il paese e la città.

L’appuntamento per tuttu coloro che vorranno raggiungere e attraversare il corteo del Pride insieme a noi in forme creative e libere, è per sabato 28 giugno alle ore 14,30 ad Atlantide (p.zza di Porta di Santo Stefano, 6)

ATLANTIDE È FEMMINISTA, ATLANTIDE È QUEER, ATLANTIDE È PUNX. ATLANTIDE R-ESISTE E RESTA DOV’È!

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